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Pedofilia online: Facebook apre i suoi archivi

Facebook apre i suoi archivi chat alla magistratura italiana per un’indagine di pedofilia online: è la prima volta che accade. L’indagato è G.P., un uomo di 50 anni condannato per adescamento di tre ragazzine di 14 anni. Il gup Andrea Salemme, che non è soddisfatto dalle indagini, inoltra una rogatoria agli Usa ottenendo, con l’aiuto dell’FBI, i file criptati contenenti le chat del pedofilo. Scopre quindi che G.P., fingendosi un quindicenne, convinceva decine di ragazzine a spogliarsi e compiere atti sessuali davanti alla web cam.

L’uomo, che era già stato arrestato per lo stesso reato, aveva chiesto di essere sottoposto alla castrazione chimica, che nel nostro paese, però, è proibita per legge. Non è stata ancora trovata, d’altra parte, una valida alternativa a questa drastica soluzione, qualcosa che sia in grado di arginare e prevenire il fenomeno della pedofilia. Infatti, se l’esplosione dell’odio nei confronti del “mostro” di turno, incarnata dai tantissimi commenti in rete contro i pedofili, è immediata, risulta al contrario molto difficile rapportarsi efficacemente e, soprattutto, legalmente, a quella che è a tutti gli effetti una malattia mentale.

L’eurodeputato Tiziano Motti, tramite le attività dell’associazione Europa dei Diritti, da lui fondata, si impegna da tempo nella difesa dei diritti dei minori.
A fronte del vuoto legislativo in merito alla pedofilia e pedopornografia online, fenomeno oggi enormemente diffuso, l’onorevole dell’UDC nel 2010 ha chiesto e ottenuto che il Parlamento Europeo approvasse una risoluzione per un sistema di allarme rapido, teso a impedire le attività online di pedofili e molestatori sessuali. L’anno seguente, l’europarlamentare insieme all’esperto di tecnologie non convenzionali Fabio Ghioni, propone allo stesso Parlamento una soluzione altamente tecnologica e sicura per effettuare indagini sui reati online: il sistema Logbox.

La tecnologia informatica ideata da Ghioni, se installata in un computer, permette la conservazione dei dati di navigazione, che vengono criptati e possono essere utilizzati come materiale di un’eventuale indagine. Il sistema è progettato in modo che possano accedere a questi dati solo tre entità, ognuna dotata di una chiave d’accesso: la polizia postale o l’autorità preposta alle indagini, un garante e l’utente. Il meccanismo è reso ancora più sicuro dal fatto che l’accesso è possibile solo tramite l’incrocio di due password su tre.

Purtroppo ad oggi, nonostante la risoluzione parlamentare sia stata pienamente approvata, il sistema non è ancora stato adottato. Questo avviene perché è molto difficile regolamentare un non-luogo virtuale come il web, tradizionalmente indipendente dai vincoli legali cui si è sottoposti nel mondo “reale”. L’assenza di una cultura basata sulla consapevolezza nell’uso della rete, nata come strumento atto a potenziare le nostre conoscenze, fa si che essa sia invece considerata alla stregua di un giocattolo. L’unica cosa che fa “drizzare le antenne” agli utenti è la paura di perdere la propria privacy.
Una delle critiche che è stata mossa a Motti e Ghioni è proprio quella relativa al controllo, tanto che LogBox è stato anche chiamato il “Grande Fratello buono”. C’è però un interessante paradosso da considerare: molti utenti che sostengono di voler gelosamente proteggere la propria riservatezza, sono i primi a mettere in piazza i fatti loro tramite le bacheche dei social network. Tra queste persone, ci sono anche genitori che utilizzano le immagini dei figli come foto profilo, immagini che potrebbero essere facilmente prelevate da un pedofilo. Questo comportamento oltre che incoerente, è soprattutto pericoloso. La potenza del lato oscuro della rete, come Ghioni lo definisce, è dunque ancora sottovalutata, e i criminali continuano a sguazzare impuniti in questo marasma pieno di illegalità.

Per questo motivo, ci auspichiamo che prima possibile venga messo in atto il sistema promosso dall’onorevole Motti e ideato da Ghioni. Nel nostro quotidiano, come cittadini, noi possiamo contribuire a tutelare i bambini dalla pedofilia, diffondendo informazione in merito e facendo sentire la nostra voce. Non fare nulla per cambiare le cose, equivale a dare il proprio silenzioso assenso.